Donne e arte, un binomio complesso, quasi una provocazione, per tenere aperta la questione sul ruolo della donna post-moderna e per condurre l’attenzione su precise problematiche sociali. Tutto questo è racchiuso nella nostra documentaria e di pittura intitolata “La donna nell’arte” che apre i battenti oggi alle ore 10 presso la sala Conferenze dell’Archivio di Stato, in via Palach, diretto da Vincenzo Michele Misitano.

L’evento, curato dall’archivista Marilena Di Renzo con la collaborazione del personale in servizio, intende proporre con accento critico la storia delle donne che è una continua battaglia di schiavitù e liberazione. L’arte in questo percorso può avere un ruolo importante, in quanto essa è in grado di stimolare riflessioni e rende coraggiosi.

La mostra mette in luce, altresi, alcuni punti di intersezione tra politica e arte, storia e presente, norme sociali e ribellione individuale. Il “viaggio” in questo complesso universo avviene attraverso lavori esposti da ben dieci donne artiste: Amalia Alia, Angela Bassoli, Annamaria Brissa, Mariella Capomolla, Antonella Di Renzo, Maria Pia Iannazzo, Rosetta Landro, Rosa Malerba e Svetlana Potoran.

Ma, non solo. Fanno da cornice altrettanto pregnante i numerosi lavori artigianali e gli atti notarili di notai che hanno esercitato nel XVII e nel XVIII secolo, che rappresentano preziose testimonianze della condizione femminile all’epoca e ripropongono con forti interrogativi i conflitti sociali, imponendosi come la memoria storica che la modernità non ha potuto polverizzare.

Emergono i dissapori con il marito che costringono una donna a fuggire di casa e ad adattarsi a fare la serva in un’altra casa, questa volta di un nobile di Arena (1748). Destino non invidiabile, poi, quello di una giovane, che, sedotta, viene ingannata nella promessa di matrimonio che non si celebrerà mai (1723). E che dire di quel matrimonio sfumato a Pizzoni (1684) perchè lei è stata baciata in pubblico. Condizione singolare era quella della vedova che non poteva risposarsi perchè facendolo avrebbe perso ogni bene lasciato nel testamento dal marito. Ma si raccontano anche storie di donne “affrancate”, ossia non più schiave (1668). Una discrasia che, purtroppo, continua. E che non esita a condannare il direttore Misitano, il cui commento è rivolto alle Istituzioni e all’associanismo per esortare l’avvio di “un ripensamento, un ricercare nuove strategie, inflittire proficui momenti di confronto, essere più vigili e più presenti nel sociale, onde affrontare seriamente la criticità del problema della violenza contro le donne”.

Non mancando di sottolineare l’importanza della famiglia ” che dovrebbe avere un ruolo”, il direttore dell’istituto archivistico chiosa: “Occorrono leggi  severe e pene esemplari”.